SPOSARE UNA CAUSA SIGNIFICA PRENDERSI UN IMPEGNO: IL TUO BRAND È PRONTO A MANTENERLO?

Il 17 maggio cadeva come ogni anno la giornata contro l’omobitransfobia, seguita ora da giugno, il mese del Pride, che prelude un’estate di manifestazioni ed eventi in tutta Italia a sostegno della comunità LGBTQ+. Nel corso dell’anno ci sono tante altre occasioni dedicate a grandi temi sociali, come quello ambientale o la parità di genere, i quali finiscono quasi sempre al centro di discussioni sui social e non solo.

Per un’azienda, farsi promotrice di messaggi sociali, etici o addirittura politici come questi dovrebbe significare assumerne effettivamente i principi, applicandoli più volte e in modo costante e facendosene portavoce. Troppo spesso, però, i brand entrano a gamba tesa con i loro prodotti e servizi, combattendo queste battaglie solo in determinati momenti, con mosse di marketing criticate sia dalle comunità o difensori delle cause cui si riferiscono, che dal pubblico target.

Viene così a perdersi non solo l’obiettivo di sensibilizzazione ma, a livello pratico, anche quello reputazionale. In simili contesti tali scopi dovrebbero quantomeno andare di pari passo e le PR, in particolare quelle digitali, divengono allora un importante tassello per far sì che l’immagine dell’azienda tragga sul serio beneficio da questo tipo di impegno, così come la causa stessa, senza che questa venga sfruttata solo per il puro interesse economico.

 

COS’È IL WASHING E COME RICONOSCERLO

Social washing, Brand washing, Woke washing… sono tutti termini che derivano dalla parola whitewashing (ovvero “sbiancare”) e che significano la stessa cosa, ovvero i tentativi di un’azienda di sfruttare temi sociali per il proprio tornaconto, costruendo campagne temporanee di facciata anche estremamente efficaci, soprattutto sui propri canali di comunicazione, che però poi non portano a un reale cambiamento.

Inutile nasconderlo, è normale che un’impresa lavori principalmente per i propri interessi, tuttavia se manca una motivazione reale e onesta per determinate prese di posizione, non si farà altro che creare danno non solo all’azienda ma anche alla causa.

Negli ultimi anni ci sono stati esempi di washing sempre più facili da smascherare per il pubblico e talvolta sono le stesse aziende a rendere evidenti le loro contraddizioni, tra comunicazione e fatti che non combaciano. I segnali sono più o meno sempre gli stessi: un brand improvvisamente, senza mai aver fatto nulla a riguardo in precedenza, lancia campagne su temi caldi del momento o dalla grande copertura mediatica e lo fa in tempi molto ristretti oppure in un periodo specifico dell’anno, come dicevamo all’inizio, per poi non riparlarne mai più (o fino all’anno seguente). Molto di frequente si scopre anche che fino al giorno prima il problema si trovava all’interno dell’azienda stessa e che questa non ha mai compiuto nessuna azione per risolverlo e migliorarsi.

Al giorno d’oggi è un po’ ingenuo pensare che i consumatori non siano capaci di distinguerne una fatta con cognizione di causa da un’altra con motivi più opportunistici. D’altronde sono proprio i clienti ad avere il potere decisionale e si parla praticamente in ogni contenuto sul marketing di come sia necessario empatizzare davvero con loro, i loro bisogni ma anche le loro convinzioni. E questo non può avvenire dall’oggi al domani mettendo un arcobaleno o colorando un logo temporaneamente di verde o rosa.

 

LA COMUNICAZIONE NON PUÒ ESSERE SELETTIVA

Come evitare quindi che tutto finisca come panni in lavatrice, gettati alla rinfusa senza accorgimenti per preservarne la qualità? Ogni causa ha dei valori indiscutibili e imprescindibili che la distinguono e la rendono importante agli occhi dei sostenitori, è importante quindi riconoscere quali siano e metterli in pratica nella maniera più fedele e sincera possibile.

È vero che alcuni argomenti sono di difficile approccio, in quanto particolarmente complessi e fonte di dibattiti molto accesi, che talvolta sfociano anche in violenza verbale e non solo. Tuttavia, bisogna essere convinti di una cosa: quando si sostiene una causa lo si fa in toto, non è possibile scegliere i dettagli che più fanno comodo e bisogna quindi esser pronti a tutte le conseguenze. Si cadrebbe altrimenti nel primo errore che porterebbe l’azienda a perdere immediatamente credibilità. Così come non taglieremmo a strisce un maglione con un motivo a righe, allo stesso modo non ha senso escludere minoranze o problematiche specifiche da queste iniziative.

Nel comunicare l’impegno preso, le azioni compiute e che si compiranno, allora, un responsabile di Digital PR dovrà tenere conto dell’insieme di caratteristiche della causa scelta, per capire quali altre figure coinvolgere e cosa sarà importante raccontare e sottolineare nel modo corretto.

 

RAPPRESENTAZIONE DENTRO E FUORI L’AZIENDA

La trasparenza nel farsi carico di questa comunicazione può essere dimostrata in diversi modi, uno dei quali introducendo nuove figure specializzate nel corpo aziendale ma soprattutto coinvolgendo fin da principio i dipendenti.

Loro sono i primi, infatti, a desiderare di sentirsi rappresentati e rappresentanti di un’azienda che prende sul serio i temi che li riguardano in prima persona. Fare dei dipendenti i primi ambasciatori, magari anche formandoli in un’ottica di employer branding e advocacy, è una delle opzioni più efficaci per affermare le intenzioni e i valori del brand in modo convincente e genuino, molto più di un volto famoso ingaggiato per una singola occasione o di un claim usato una volta e mai più. Anche il World Economic Forum ha dimostrato, infatti, come le aziende che coinvolgono i dipendenti ottengano maggiori ricavi, perché viste positivamente dai dipendenti stessi e dai consumatori, questi ultimi più propensi ad accordare la loro fiducia a un’azienda di cui parla bene chi ci lavora.

Se un lavoratore si riflette nei valori difesi dal brand, a sua volta anche il cliente riuscirà a fare lo stesso. Per far sì che entrambi capiscano ogni sfumatura di ciò che l’azienda vuole trasmettere, sarà utile avere un consulente esperto del settore riguardante la causa scelta, che possa spiegare gli aspetti da considerare e dare suggerimenti per il progetto, la campagna o anche il singolo prodotto/servizio.

 

COS’ALTRO POSSONO CURARE LE DIGITAL PR

Le Digital PR fungono un po’ da acchiappa-colore, per far sì che la svolta green, pink, rainbow (o qualsiasi altro colore) non risulti fallimentare nella sua narrazione, oltre che nella pratica. Notizie, informazioni, scandali viaggiano alla velocità di un clic e basta pochissimo per essere costretti a correre ai ripari, perciò un piano di risk management deve esser sempre pronto per qualsiasi evenienza, ma bisogna saper gestire e confrontarsi con diversi operatori per far sì che l’azienda ottenga un risultato positivo sotto ogni punto di vista.

Ci sarebbe infatti tanto altro a cui pensare quando si ha intenzione di comunicare con chiarezza e onestà l’impegno di un’azienda per uno di questi temi: il tono di voce allineato al target; come raccontare il raggiungimento degli obiettivi che l’azienda si è posta, spiegando il modo in cui monitora azioni e risultati; come instaurare un dialogo tra brand e stakeholder, ovvero con le parti interessate (che possono essere associazioni, comunità, organizzazioni no-profit), per stabilire partnership e obiettivi comuni; l’eventuale coinvolgimento di figure autorevoli e/o influencer. Starà al professionista di PR individuare tra tutte queste parti il denominatore comune per riuscire a fare insieme la differenza, davvero.

Alessia Trombini