ia reputazione sos digital prL'IA può danneggiare o supportare la reputazione di un brand?

ChatGPT ora parla e dialoga in modo ancora più umano: a parte generare output in vari formati (testo, audio, immagini), sa anche riconoscere e interpretare le emozioni attraverso la videocamera o il microfono, per poi adattare la risposta sullo stesso tono. Addirittura sono stati aggiunti effetti come risate e sospiri che, assieme alle 50 lingue supportate, offrono un ampio spettro di possibilità inedite di utilizzo.

Nella presentazione condotta da OpenAI sul suo prodotto di maggior successo, è stata mostrata una versione estremamente avanzata dell’IA che oggi moltissimi professionisti e non solo utilizzano quotidianamente per lavori che vanno dalla content creation alla traduzione di testi e su cui si basano molte altre IA meno potenti ma integrate in software e tool digitali.

Questo nuovo ChatGPT ovviamente ha fatto sorgere ulteriori domande e timori sull’utilizzo di tale tecnologia, che sia nella vita di tutti i giorni o in forme e mercati più o meno importanti e di rilevanza internazionale.

L’IMMAGINARIO DEI CLONI È ORA REALTÀ?

Per quanto nel mondo occidentale, e forse ancora di più in Europa e Italia, l’IA sembri ancora qualcosa di misterioso e di cui diffidare, se guardassimo alla Cina avremo l’impressione di star osservando l’anno 3000.

Da Douyin, la versione cinese di TikTok, si diffondevano video di influencer e simili capaci di cambiarsi i connotati attraverso trucco, lenti a contatto colorate e nastri adesivi, rivelando una realtà ben diversa ma già molto radicata in Cina e paesi asiatici, con persone che riescono a nascondere e cambiare il proprio aspetto fingendosi qualcun altro anche senza ricorrere a soluzioni drastiche come la chirurgia estetica. Ma probabilmente in molti si sono persi il passo successivo, cioè la possibilità sempre più concreta di un mondo virtuale con cui già si può interagire.

Calvin Chen, 9 milioni di fan su Weibo (piattaforma ibrida tra X e Facebook), ne ha offerto un assaggio che ha fatto scalpore, a settembre dell’anno scorso, come riportato dal Guardian: per 15 ore di fila ha condotto un live streaming dove mangiava a oltranza, cosa che dopo un po’ ha portato i followers a chiedersi, giustamente, come e se fosse possibile una cosa del genere. Guardando meglio, infatti, in un angolino dell’inquadratura c’era scritto chiaro e tondo “Non si tratta di una persona reale, video a scopo illustrativo”. Come le immagini delle merendine sulle confezioni.

Non è il primo ed evidentemente non sarà l’ultimo a utilizzare avatar creati dall’IA, visto che si tratta di un fenomeno diffusissimo tra gli influencer cinesi, specialmente quelli che vendono qualcosa al proprio pubblico promuovendo e-commerce come Taobao, WeChat e l’ultimo arrivato Temu, con live streaming che proseguono h24.

Cloni che facciano qualsiasi cosa al posto della loro versione originale li abbiamo già visti in diverse occasioni, compresi prodotti di intrattenimento: si va dai classici clone e storm troopers di Star Wars, creati copiando i geni dell’originale, a immaginari più recenti come nel manga Shibatarian in cui l’antagonista Shibata genera copie di sé stesso infettando le persone con il proprio DNA. Si tratta di un concetto, quello della clonazione, che ha compiuto un passaggio da pura scienza biologica a concetto transmediale, spesso rappresentato mentre assume forme negative e ora reso realtà grazie al progresso tecnologico.

Ed è questo che più spaventa, soprattutto sapendo che per istruire queste IA bastano un minuto e 1000 dollari, un risultato raggiunto in pochissimi anni ed è facile immaginare la piega negativa: anche in Italia abbiamo esempi di VIP e personaggi dello spettacolo vittime dell’utilizzo improprio di queste tecnologie, usate per creare deepfake e compiere truffe a danno non solo di chi ci casca ma anche di suddette figure pubbliche.

IA E REPUTAZIONE VANNO A BRACCETTO

Tornando all’esempio di Calvin Chen, il suo mukbang live gli è costato solo 7000 follower ma, in termini reputazionali, gli utenti hanno osservato come ormai i personaggi famosi quasi “non debbano più nemmeno lavorare”, basando tutto sulla propria immagine e dunque disinteressandosi dell’opinione del pubblico e dei fan.

Per quanto possano dare messaggi precisi ed efficienti, riducendo anche i costi, questi avatar comunque non trasmettono l’autenticità che i consumatori oggi più che mai ricercano nell’interagire con i brand e i loro rappresentanti. La reputazione di queste personalità, così come delle aziende che promuovono, potrebbe essere pesantemente penalizzata se si facesse troppo affidamento su questa tecnologia, a discapito di creatività, originalità e impegno.

In tal senso, abbiamo già parlato dei virtual influencer, che non sono copie di persone reali ma vengono creati e si comportano come tali, con tutte le conseguenze che ne derivano. Di recente sono stati nuovamente d’ispirazione anche in Italia: il caso eclatante della Venere di Botticelli ora è stato surclassato dall’IA con fattezze molto più umane e realistiche ispirate alla Monna Lisa di Leonardo Da Vinci. Un concept ideato da Visit Italy, principale canale di promozione indipendente dell’Italia nel mondo, con lo scopo di essere un’assistente di viaggio, la prima per il settore travel italiano, in grado di dare supporto nell’organizzazione di viaggi su misura grazie ai contributi dei locals.

Se il principio per cui sono nate VenereItalia23 e MonnaLisa.AI è lo stesso, ovvero la promozione dell’italianità nel mondo dal punto di vista artistico, culturale e turistico, per la seconda le cose stanno andando meglio, nonostante ci siano comunque utenti che disapprovano, ed è facile intuire il perché:

  • Monna Lisa si basa su un servizio concretamente utile, inserito in un settore in rinnovata crescita, come riportato dagli Osservatori Travel Innovation e Business Travel;
  • Si è presentata con una campagna teaser internazionale, partendo addirittura con un annuncio a Times Square;
  • Non ha mantenuto la sua forma “pittorica” ma ha assunto un’immagine del tutto umana che la rende molto più naturale;

L’analisi dei due profili Instagram dimostra come l’idea non basti da sola, ma sia necessario veicolarla nel modo giusto: Venere perde follower quotidianamente in seguito a post che appaiono raffazzonati e di qualità estremamente variabile; Monna Lisa cresce velocemente postando contenuti propri e girati nella location di cui parla nel post; le interazioni della prima sono molto al di sotto della media, con commenti perlopiù derisori, mentre la Gioconda riscuote discreta approvazione, senza contare una leggera attività di community management che invece viene decisamente trascurato dalla dea dell’amore.

Si potrebbe quindi affermare che non sia davvero l’IA il problema, ma il modo in cui viene usata. E questo pensiero possiamo riscontrarlo anche in altri settori come quello della ricerca, della salute, del retail per specifiche mansioni come il customer service… ma proprio in base al tipo di mercato e di applicazione, questa può scatenare quella “uncanny valley”, la risposta emozionale per cui riconosciamo la somiglianza umana di queste intelligenze (dal punto di vista fisico, intellettuale, creativo) tanto da trovarle per questo ripugnanti, che di certo le aziende e i professionisti non desiderano suscitare nei propri clienti.

Dunque la sfida sta nel trovare un equilibrio che consenta di utilizzare queste forme di IA e robot senza provocare un discomfort che potrebbe risultare anche in un allontanamento dal brand e a possibili crisi reputazionali. Gli artisti e tutti coloro che operano in campo creativo stanno già sperimentando questo sbilanciamento, di cui abbiamo parlato in precedenza in riferimento alle IA rapportate al mondo dell’arte. La situazione ora si è evoluta portando a una specie di guerra tra “artisti reali” e “AI Artist”, dove questi ultimi non godono di buona reputazione in virtù dell’utilizzo di uno strumento artificiale istruito con le opere altrui.

CONCLUSIONE

L’utilizzo delle intelligenze artificiali non mette a rischio la reputazione di un brand o di un professionista, se l’uso che ne fa è appropriato e non improvvisato. Come abbiamo osservato, la chiave risiede nel modo in cui queste tecnologie vengono integrate nelle strategie di comunicazione e marketing.

Esempi come quello di Calvin Chen, con il suo live streaming che ha suscitato perplessità e perdita di follower, dimostrano che un uso poco trasparente o eccessivo dell’IA può danneggiare la percezione pubblica e la fiducia del pubblico. Tuttavia, altre iniziative come quella di MonnaLisa.AI evidenziano come un’applicazione ben studiata e promossa possa invece migliorare l’immagine di un progetto, offrendo un servizio apprezzabile.

Le IA possono ridurre i costi, aumentare l’efficienza e offrire nuove opportunità creative, ma è fondamentale che le aziende e i professionisti mantengano un approccio autentico, trasparente e consapevole. Le IA devono essere utilizzate per arricchire l’interazione con il pubblico, non per sostituire un contatto umano e l’autenticità che i consumatori ricercano, specialmente quando si parla di prodotti e servizi da cui si aspettano la soluzione ai loro bisogni.

In conclusione, il successo dell’integrazione delle IA nelle strategie di brand dipende dalla capacità di utilizzarle in modo etico, trasparente e creativo, cosa su cui si sta lavorando anche a livello legislativo. Solo così sarà possibile trasformare un potenziale rischio in un’opportunità, valorizzando sia le tecnologie avanzate che le qualità umane insostituibili.

 

Alessia Trombini