inclusività campagna marketing sos digital prCome e perché rendere inclusiva una campagna di marketing e PR

L’inclusività è un valore sempre più rilevante nella società odierna e le aziende che desiderano comunicare in modo efficace non possono ignorarla: secondo la ricerca condotta da Integralads, due terzi dei consumatori intervistati pensano che i brand dovrebbero promuovere la diversità e l’inclusività ma, allo stesso tempo, più della metà pensa invece che i tentativi fatti finora siano stati blandi e inefficaci. Secondo un’altra ricerca di Deloitte, la Gen Z, così targettizzata dalle campagne odierne, si aspetta quasi all’unanimità un impegno da parte dei brand nel prendere posizione su questioni sociali come l’inclusività.

È fondamentale, allora, che le campagne vengano realizzate con cognizione di causa, specialmente quando il pubblico di riferimento è per forza di cose molto vasto e oggi più consapevole delle singole unicità. Non si tratta di dare un contentino a ogni gruppo demografico e sociale né di “arrendersi” al politically correct, ma di conoscere davvero i propri clienti e assicurarsi che si sentano vicini a un brand anche perché vi si riconoscono sotto gli aspetti che definiscono la loro identità.

I VANTAGGI DELL’INCLUSIVITÀ

La parola d’ordine, quando si parla di inclusione, allora è “rappresentazione”. Quando bisogna ideare una campagna e veicolare un messaggio che possa raggiungere ogni singolo individuo, nulla può essere lasciato al caso e non è possibile dimenticarsi che, ancor prima delle conversioni che ne deriveranno, si sta cercando di fare comunicazione e di parlare con le persone.

Perciò esistono diverse ragioni per cui l’inclusività è importante nelle PR e nel marketing. Innanzitutto riflette, appunto, la realtà del mercato: la società è sempre più multiculturale e multiforme. Le campagne che non tengono conto di questa diversità rischiano di apparire obsolete e irrilevanti.

Ovviamente, poi, l’inclusività amplia il bacino di utenza e questo può consentire un aumento positivo dell’engagement: le persone sono più propense a interagire con brand che si rivolgono a loro in modo autentico, ma soprattutto non interagiranno con commenti negativi o iniziative di boicottaggio, cosa che andrebbe a danneggiare anche l’immagine dell’azienda. Un brand che si impegna sul serio per l’inclusività è percepito come più moderno, aperto e vicino al pubblico e la sua reputazione ne può giovare, se l’inclusività verrà tenuta in considerazione nel modo corretto.

ERRORI DA EVITARE IN UNA CAMPAGNA INCLUSIVA

Tendenzialmente, gli errori più frequenti sono anche i più banali. Bias e stereotipi sono spesso la prima causa di una comunicazione grossolana, generalizzazioni semplicistiche e spesso inaccurate che, se talvolta possono risultare divertenti in un contesto chiaramente comico,  il più delle volte ormai vengono considerati offensivi e dannosi, poiché riducono la complessità degli individui a caricature e soprattutto non favoriscono la trasmissione di un messaggio, a prescindere da chi fossero i destinatari scelti.

In diversi tipi di pubblicità e campagne, così come in messaggi e iniziative di varia natura, quando la rappresentazione già non è assente, se ne riscontra una scorretta o comunque minima e condiscendente. Molti brand inoltre ricorrono a una soluzione che, se possibile, è peggio del non includere affatto: il cosiddetto tokenism, che si verifica quando un’azienda include persone di diverse provenienze sociali o culturali solo per dare un’impressione di inclusività. Una scelta che si rivela quasi sempre superficiale e in molte occasioni criticata come un modo per sfruttare le minoranze o renderle più invisibili.

Di esempi di tokenism ne possiamo trovare ovunque e costantemente, gli ultimi più eclatanti e discussi sono proprio del mese di febbraio, in occasione del Festival di Sanremo e della Fashion Week a Milano.

Durante il Festival, è stato mostrato più volte uno spot promozionale della regione Liguria. Con lo slogan “Liguria da baciare”, era composto da più scene in cui una varietà di coppie si scambiavano baci appassionati, circondati dalle bellezze del territorio ligure. Sono state però sollevate diverse critiche per la rappresentazione di una coppia in cui una persona in carrozzina veniva baciata solo sulla guancia, l’unica in tutto il promo. Una rappresentazione percepita negativamente per due motivi: il tokenism, poiché si trattava dell’unica coppia con una persona con disabilità, e la deumanizzazione della stessa.

Il caso della Fashion Week, invece, riguarda in particolare la quasi totale assenza di modelle plus-size. Solo alcune grandi firme hanno deciso di far sfilare almeno una modella “diversa” dai canoni tipici delle passerelle di alta moda. In un post Instagram di Tag Walk è stato fatto notare come, rispetto alla stagione precedente, ci fosse un calo di inclusività del 17%, chiedendo se il precedente coinvolgimento di donne di taglie diverse fosse a sua volta una “moda” e non qualcosa che i grandi brand di fashion vogliono davvero perseguire come obiettivo, non solo delle loro collezioni ma anche della loro comunicazione e reputazione.

Inoltre, se davvero la moda dovrebbe essere per tutti, indipendentemente dalla taglia o dalla forma del corpo, perché pochissimi brand mettono in pratica questo modello di inclusività? Oltretutto, questi ultimi comunque rischiano di essere accusati di fare tokenism e di non star sposando davvero una causa che da molto tempo viene discussa in questo settore e per la quale sono soprattutto piccole realtà e influencer a portare alternative.

A sottolineare quanto in questo ambiente, tra i vari, sia ancora difficile vedere inclusività, sono anche le parole di Vittoria Ceretti su British Vogue, commentate in un post di Giulia Paganelli aka Evastaizitta. Da queste si capisce come ancora la rappresentazione inclusiva venga considerata erroneamente non remunerativa e come brand e aziende che non la integrano nella propria comunicazione e al proprio interno siano esposte a una costante dissonanza col mondo reale.

INTEGRARE L’INCLUSIVITÀ NEI DIVERSI CANALI DI MARKETING

Come si conducono ricerche di puro marketing per capire come e con quali creatività veicolare il messaggio, bisogna condurle approfonditamente anche sul pubblico di riferimento e una buona idea sarebbe sottoporre le campagne di marketing e PR a un feedback diversificato.

Per farlo, si possono compiere diverse azioni:

  1. Fare sondaggi preliminari

Con domande mirate che incrocino le necessità della campagna con quelle dei potenziali consumatori e la loro rappresentazione

  1. Collaborare con organizzazioni, traduttori, influencer e altri mezzi di comunicazione

Bisogna scegliere quelle in grado di rappresentare e parlare per diverse comunità o minoranze, le cui problematiche e istanze vediamo portate avanti troppo spesso da chi non le vive quotidianamente o si trova in una posizione privilegiata.

  1. Non dimenticare l’intersezionalità e l’empatia

Un approccio che tiene conto di come diverse forme di discriminazione possano anche intersecarsi e così amplificarsi.

  1. Assicurarsi che i team in primis siano composti da persone di diverse provenienze

Per genere, orientamento, nazionalità, lingua, religione, età, aspetto, formazione, professione…

  1. Chiedere un feedback alla fine della campagna

Anche questo può essere fatto tramite indagini e interviste al pubblico, ai partner o agli stakeholders, oltre all’analisi dei dati da social media e altri coverage.

  1. Promuovere una cultura aziendale che valorizzi la diversità e l’inclusione

L’inclusività in marketing e PR non dovrebbe limitarsi solo alla realizzazione di campagne di comunicazione inclusive, ma dovrebbe essere parte degli investimenti che un’azienda fa per un’educazione interna dei propri dipendenti, a partire proprio dai reparti di comunicazione. La formazione sui temi come la diversità e l’inclusione può avvenire grazie a esperti sull’argomento, in grado di favorire la creazione di una cultura aziendale che valorizzi non solo il lavoro svolto ma anche chi lo svolge e chi ne riceverà il risultato finale. In Italia sono figure ancora poco presenti, nonostante sui social media se ne parli costantemente e ci siano personalità che cercano di fare questo tipo di informazione e formazione anche per le aziende, come M. Mainetti o Sofia Righetti.

Queste attività dovranno tradursi in una strategia di business capace di generare ricadute positive in termini di ampliamento del bacino d’utenza, rafforzamento della brand reputation, fidelizzazione dei clienti e stimolazione dell’innovazione. Questo può avvenire attraverso più canali di marketing:

  • SEO: ottimizzazione del sito web per parole chiave attinenti all’inclusione e alla diversità, implementandole in titoli, meta descrizioni e contenuti; creazione di contenuti che rappresentino la eterogeneità del pubblico, pubblicando articoli e blog post, anche su testate e account social di terze parti.
  • SEM e Email Marketing: segmentazione delle campagne pubblicitarie per raggiungere target specifici, basandosi su criteri di età, sesso, etnia, interessi e altri parametri; impiego di immagini e video inclusivi nelle campagne pubblicitarie, sempre con un occhio attento agli errori di cui si è parlato in precedenza.
  • Social Media: pubblicazione di contenuti inclusivi tutto l’anno e non solo in occasione di ricorrenze specifiche; interazione con il pubblico applicando un community management volto a evitare un linguaggio discriminatorio od offensivo anche da parte degli utenti.
  • Eventi: organizzazione di eventi e workshop che prevedano i temi di inclusione e diversità.

Il compito delle PR e del marketing diviene quindi cruciale, rendendo questi professionisti potenziali agenti di un cambiamento della narrazione di cui potranno beneficiare sul lungo termine sia le comunità rappresentate che la reputazione e l’impatto del brand da cui si sentono comprese.

È possibile impegnarsi nel passare dalle parole ai fatti facendo scelte di business e di comunicazione: l’inclusività non è solo una strategia di marketing, ma un valore etico capace di generare un impatto economico e sociale positivo. Le aziende che colgono adesso questa sfida saranno quelle che avranno maggior longevità e soprattutto il potere di creare una società più giusta ed equa.