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Promuovere nella Rete la propria azienda e i suoi prodotti o servizi non significa fare solo advertising a pagamento. Mettere un annuncio online con la speranza di aumentare le vendite può sembrare a molti la via più facile, tuttavia una survey di ExpertVoice, già nel 2015, dimostrava come i consumatori siano più propensi a fidarsi di terze parti (amici e famiglia, recensioni online o esperti del settore), molto più della semplice pubblicità spiattellata ovunque.

Nel 2021, sei anni dopo, la situazione non è cambiata: secondo il Trust in Advertising Study di Nielsen, soprattutto in Nord America ed Europa si fa fatica a credere alle pubblicità e questo può significare, alla fine, anche allontanare i potenziali clienti dal brand. L’anno successivo, il report di Edelman riconferma questa sfiducia, che si riscontra soprattutto con le pubblicità dei brand viste sui social media, una delle forme di informazione considerata meno affidabile in assoluto.

La verità, dunque, è che i consumatori non si accontentano di banner e video accattivanti, vogliono essere capiti nel profondo, desiderano un rapporto di fiducia con una o più figure in cui rispecchiarsi e con cui condividere dei valori (che verranno poi confermati anche dalla soddisfazione dopo l’acquisto).

Uno specialista di Digital PR comprende bene queste dinamiche e saprà coinvolgere le persone giuste per realizzare una campagna che porti a tali risultati.

Ma quali sono queste persone e in cosa si differenziano tra loro? Proprio perché tutti ormai navighiamo costantemente tra siti web, blog, account su più piattaforme social, sicuramente abbiamo incrociato almeno una volta ciascuno di questi professionisti, ma talvolta senza saper distinguere in maniera netta la loro posizione all’interno della strategia dell’azienda.

Ognuna di queste figure ha un ruolo specifico, in base al quale agirà secondo diverse modalità, e spetterà al responsabile di Digital PR coordinare le loro attività, svolte principalmente tra web e social media.

 

CHI È L’INFLUENCER?

Sembrerà una domanda sciocca, soprattutto se fatta adesso che ci troviamo nel bel mezzo dell’era degli influencer. Ma non è chiaro nemmeno ai loro follower quali siano le competenze (inteso come attività di cui occuparsi) che devono avere per essere definiti tali.

Tanto per cominciare, si possono distinguere in base all’ambiente digitale su cui operano maggiormente: esistono i blogger, con i loro blog e siti web in cui condividono articoli e media sulla loro area di interesse; e i social influencer, quelli forse più seguiti al giorno d’oggi ma anche i più esposti a critiche e malintesi.

In entrambi i casi, queste figure professionali fanno circolare idee ed esperienze su un argomento di cui sono appassionati, mettendo la propria persona in primo piano e assumendosi la responsabilità di ciò che dichiarano.  Raccontano quello che fanno quotidianamente e i prodotti che provano, discutono di temi attuali per la loro nicchia e si avvicinano così alla loro audience stabilendo dei rapporti di fiducia sempre più stretti.

Vi sono alcuni esempi virtuosi di social influencer e blogger, senza per forza guardare quelli dai grandi numeri. In effetti, siamo anche in un periodo in cui le PMI puntano molto sui micro-influencer: personalità che hanno un numero di follower tale (dai 10 mila ai 100 mila) da avere molto probabilmente un engagement rate tale da consentire una maggior efficacia delle campagne in cui vengono coinvolti. Ciò significa che, poiché godono di un’alta credibilità, potrebbero dimostrarsi la scelta migliore per diversi tipi di campagne.

Un esempio molto recente e calzante sono i 28 creators e influencer veneti, appartenenti a diverse nicchie di intrattenimento, coinvolti dalla Regione per raccontare il loro territorio, quattro per provincia. Tra loro si annoverano i più conosciuti come Canal-il Canal, Alice Guerra, passando poi per Leonardo Visentin fino ad Aston Chef o il Contadino Simo, molto più piccoli dei primi citati, ma anche per questo parte del progetto che, per tre mesi, vuole raccontare la regione sotto più aspetti. Grazie a loro e al supporto di DMO e Consorzi di Promozione turistica, il Veneto è stato raccontato dal punto di vista gastronomico, artistico e culturale, con tutta l’ironia dei suoi rappresentanti, visti da chi li segue come dei pari.

 

CHI È L’AMBASSADOR?

Come si può evincere, tuttavia, gli influencer non rappresentano una singola azienda, organizzazione o istituzione, ma si ingaggiano appositamente per determinate occasioni. A volte possono identificarsi nei valori e nell’etica dei committenti, ma ciò avviene perché vengono scelti proprio in base a questo criterio. Non significa, però, che incarnino l’azienda stessa e che quindi i loro follower li riconoscano anche e soprattutto in relazione a un brand specifico. Insomma, finita una campagna per qualcuno, si passa alla prossima per qualcun altro.

L’ambassador, invece, è un professionista che assume su di sé l’immagine intera dell’azienda, a volte coordinando anche altri aspetti come il supporto alle vendite, e che ha doti comunicative e creative che gli o le consentono di pubblicizzare positivamente l’azienda o un prodotto in completa libertà, proprio perché assolutamente in armonia con i valori con questi ultimi.

Come dicevamo all’inizio, la maggioranza delle persone vuole un rapporto di fiducia con il brand, possibilmente costruito attraverso un suo rappresentante ed è su questa percentuale che l’ambassador deve agire. I primi che dovrebbero assumere questo incarico sono gli impiegati stessi, che in quanto tali conosco perfettamente il brand e ne possono esaltare dal suo interno le qualità. Se poi sono sinceramente legati all’azienda, per via di una lunga e positiva esperienza lavorativa, ancora meglio.

McDonald’s Italia ha fatto proprio questo, già durante la pandemia, arruolando alcuni dipendenti dei ristoranti di tutto il Paese per raccontare l’azienda dal punto di vista di chi ci lavora. Attraverso la loro opera di divulgazione e narrazione, McDonald’s trasmette in maniera più diretta, umana e veritiera le scelte attuate per i suoi servizi e anche per i dipendenti stessi, che così “difendono” il marchio dai pregiudizi che gli sono stati affibbiati nel tempo.

In tal senso, Barbara Landi alias TheBlondDonut è un bell’esempio di employee ambassador: tra Instagram e TikTok ha un discreto seguito interessato ai suoi aggiornamenti giornalieri riguardo il suo lavoro di Hospitality Lead e non esita a mostrare ogni cosa con entusiasmo, dai gadget brandizzati alle collaborazioni in corso tra McDonald’s e altre realtà.

Non è necessario, dunque, che un ambassador sia famoso, ciò che conta è la sua preparazione e, nel caso dell’internal, la sua fedeltà, che deve poi diventare quella dei clienti nei confronti del brand. Con questa figura, oggi un’azienda farebbe un ottimo investimento in termini di marketing e PR, poiché la rete di un dipendente è già formata da persone che si fidano e potrebbe solamente espandersi.

 

CHI È L’ADVOCATE?

Per lo stesso principio, non bisogna sottovalutare i propri clienti. Una volta fidelizzati, possono essere una risorsa in più su cui capitalizzare, poiché saranno loro in modo del tutto spontaneo a condividere la soddisfazione avuta con l’azienda. La loro figura è sempre correlata al ruolo di ambassador, ma con il compito speciale: quello di difensore.

L’advocate, quindi, è un cliente affezionato, che si riconosce nei modelli e valori del brand ed è quindi propenso a consigliarlo tramite passaparola. Un’attività che facciamo tutti nella nostra quotidianità ma che, se svolta online e coordinata dal professionista di Digital PR, può risultare efficace anche più della sola recensione sul sito aziendale.

Le loro azioni sono tendenzialmente quelle di gestire i commenti in discussioni sul tema o il settore che compete l’azienda o un suo prodotto/servizio, ma possono anche essere utilizzati come beta-tester fidati che poi riporteranno genuinamente la loro esperienza, senza bisogno di particolari incentivi economici, come per gli influencer.

 

CHI SCEGLIERE?

La scelta su quale di queste figure coinvolgere dipende da diversi fattori. Il primo fra tutti è l’obiettivo che si pone il piano di marketing e comunicazione che intende utilizzarle. Ovviamente è importante anche il budget, ma anche la reputazione attuale del brand e, ancor prima, qual è il target di riferimento.

Se dobbiamo difendere, in maniera naturale, l’azienda si sceglierà prima di tutto il coinvolgimento degli advocate, per promuoverla, invece, gli influencer. Per consolidarla, gli ambassador.

Si possono ovviamente gestire tutte le attività insieme con una strategia ben strutturata e avviata; all’interno del funnel, poi, le attività gestite dal responsabile dele PR si inseriranno sia a metà che alla fine, in base al punto in cui vi è più carenza: cura del cliente post vendita? Dubbi sui prodotti e le loro qualità? Ricerca di consigli personalizzati? Reputazione a rischio o da migliorare?

Qualsiasi caso sia, le attività di ambassador, advocate e influencer contribuiranno a mettere i clienti, e dunque le persone, al primo posto e dovrebbero essere a loro volta i primi a essere coinvolti per il successo dell’azienda.

 

Alessia Trombini